Il trauma e il suo posto nel cervello. Come la psicoterapia agisce sui ricordi traumatici.

Vera Longhena

Nella parte del nostro sito dedicata a descrivere di cosa ci occupiamo, abbiamo descritto il trauma come uno strappo che mette duramente alla prova la nostra resilienza, cioè la capacità di far fronte in maniera positiva alle difficoltà della vita. Si tratta di un evento doloroso ed estremamente stressante che squarcia l’equilibrio psico-fisico di una persona. Per dirla in una parola, il trauma è una ferita. Ma le ferite si possono curare, attraverso la terapia psicologica.

Alcuni ricercatori italiani sono riusciti a farsi un’idea precisa di cosa accade al cervello quando rievoca un trauma ancora attivo e poi come muta a livello neurologico, una volta che il trauma è stato elaborato e superato. Si tratta di uno studio basato sul trattamento del trauma a San Giuliano di Puglia nel Molise a dieci anni dal terremoto; hanno condotto tale ricerca l’Associazione Emdr Italia (tecnica psicoterapica di desensibilizzazione e rielaborazione del trauma, attraverso movimenti oculari www.emdr.it),  il Cnr (Consiglio Nazionale delle Ricerche) e l’Università di Tor Vergata.

La memoria dell’evento traumatico “resta congelata nelle reti del cervello in modo non funzionale, l’informazione non può essere elaborata e continua a provocare patologie” spiega Isabel Fernandez, presidente di Emdr Italia.

Congelare un ricordo, a differenza di quanto si possa istintivamente pensare, non è salvifico e non protegge dal dolore: un ricordo congelato non è innocuo, ma anzi provoca blocchi profondi sia emotivi che psichici. Infatti, quasi senza esserne consapevole, una persona impiegherà sforzi notevoli a tenere questa memoria sotto controllo, perché non la può considerare dimenticata una volta per tutte, ma ne teme costantemente l’attacco.  Vari sono i disturbi che derivano da questa gestione del trauma: disturbo post traumatico da stress (Ptsd), attacchi di panico, dissociazione e malesseri generali, quali ansia.

Inoltre, molto più spesso di quanto si pensi accade che il trauma congelato si ripeta nel quotidiano sottoforma di traumi differenti, ma analoghi, magari più piccoli, che paiono ininfluenti. Questi episodi reiterati sono un messaggio per la persona, da parte del trauma congelato: quest’ultimo vuol dire “Guarda che in verità non mi hai potuto dimenticare, sono rimasto in una tua memoria non consapevole e vado elaborato per essere definitivamente superato! Occupati di me, non far finta che io non esista!”

La fatica fatta per tenere dimenticato e silente il ricordo di un evento traumatico e le emozioni ad esso associate è così onerosa, che gli studiosi hanno rivelato come in una persona, che soffre di disturbo post traumatico da stress, si riduce l’ippocampo, cioè il centro di controllo della memoria. Questa non è, però, una condizione irreversibile: la terapia psicologica decongela il trauma, permette di guardalo, sentirlo, elaborarlo e gli trova persino un posto nuovo nel cervello.

“L’elaborazione degli eventi traumatici si muove da aree [del cervello] che sviluppano le immagini patologiche del trauma a regioni del cervello con un ruolo di tipo cognitivo e associativo, le cui attività permettono di regolare i ricordi dell’evento traumatico e di eliminare e controllare le emozioni negative a esso collegate”, spiega G. Di Lorenzo del Dipartimento di medicina dei sistemi dell’Università di Roma Tor Vergata. In altre parole, una terapia psicologica ben condotta, porta a trasformare il modo di ricordare il trauma: non lo fa dimenticare, ma rende possibile averne memoria senza far automaticamente rivivere le sensazioni negative e le angosce correlate.

“Il dolore è ancora più dolore se tace”. (G. Pascoli)

 

 

 

 

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