La trappola della felicità.
“Immagina per un momento che quasi tutto ciò che credi su come raggiungere la felicità sia in realtà inesatto, fuorviante o falso…. E se in realtà fossero proprio i nostri sforzi per trovare la felicità a impedirci di ottenerla?”.
Da questa domanda parte il discorso affrontato nel libro “La trappola della felicità” di Russ Harris, un testo piuttosto chiaro e accessibile anche ai non addetti ai lavori, fondato sull’ACT (Acceptance and Commitment Therapy – terapia dell’accettazione e dell’impegno). L’ACT è un approccio terapeutico basato sulla mindfulness e appartenente al gruppo degli approcci cognitivo-comportamentali di ultima generazione. Ulteriori informazioni su questo approccio si possono trovare nel sito http://www.act-italia.org/.
Senza voler approfondire il contenuto del libro e dell’approccio ACT, volevo soffermarmi su alcune considerazioni iniziali che mi hanno particolarmente colpito e indotto a riflettere.
Cos’è la felicità?
La felicità è qualcosa di intrinsecamente volatile e non duraturo. Infatti, è un’emozione basata su sensazioni di piacere o di gratificazione che, pur essendo universalmente piacevoli, sono anche in parte instabili e sfuggenti. E’ comune sentirsi improvvisamente felici, apparentemente senza motivo, così come è comune che possano subentrare vissuti negativi a turbare il senso di contentezza. Come tutte le emozioni e sensazioni, la felicità mantiene aspetti di imprevedibilità, per sua natura è qualcosa di non duraturo e non controllabile. Eppure le persone continuano a ricercare la felicità e, quando la trovano, provano a controllarla e a non farla sfuggire. Non a caso, il classico finale di tutte le fiabe per bambini è “…e vissero sempre felici e contenti”.
D’altro canto, molte evidenze ci dicono che la felicità non è la condizione naturale e “standard” di tutti gli esseri umani. Tralasciando gli eventi più tragici e traumatici, che comunque non sono così rari nella vita delle persone, nel mondo contemporaneo sono estremamente diffusi problemi psicologici e disturbi psichiatrici più o meno lievi (ansia e depressione, ad esempio), oltre che problemi sociali e relazionali, lavorativi, sentimentali, ecc.
I falsi miti del successo e del benessere.
Detto questo, è vero che i modelli sociali e culturali tendono a proporre immagini di persone “vincenti” e “di successo”. Viene costantemente promosso il mito dello “star bene”, basato sulla capacità di controllare se stesso e i propri vissuti e di rifiutare le emozioni negative. Se qualcuno non è in grado di farlo, è frequente che si senta inadeguato e che, confrontandosi con le apparenze di solidità e successo degli altri, senta di “avere qualcosa che non va”.
L’illusione del controllo.
Tuttavia, nella realtà il controllo che siamo in grado di esercitare sul nostro mondo interno (pensieri, ricordi, emozioni, sensazioni, impulsi…) è molto minore di quanto crediamo. E’ comune che, a fronte di momenti di difficoltà di vario genere, il consiglio degli altri sia quello di “non pensarci” o di “non deprimersi”… ma i pensieri e le emozioni negative continuano a tornare, indipendentemente dalla nostra volontà. Un semplice e classico esperimento è questo: se si prova a non pensare ad una parola (ad es. “elefante”) per un minuto si può notare come la parola continui ad affacciarsi alla mente. Anzi, tutti gli sforzi che si fanno per allontanarla sortiscono invece l’effetto opposto, quello di mantenere l’attenzione sulla parola.
I costi delle strategie di controllo.
Qualcosa di simile accade anche per le emozioni. A partire dall’educazione ricevuta, una persona impara che “bisogna riuscire a controllare le proprie emozioni” e mette in atto, più o meno consapevolmente, una serie di strategie per cercare di controllare i propri stati d’animo. Alcune di queste strategie sono basate sulla fuga: ad esempio, si evitano le situazioni che inducono emozioni negative, si cerca di distrarsi impegnandosi in altro, oppure di “intontirsi” (assumendo sostanze o dormendo). Altre, invece, sono incentrate sul contrasto attivo ai pensieri o alle emozioni indesiderate: si cerca di reprimerli, di dominarli o di costringersi a sentirsi diversamente. In generale, se usate con moderazione queste strategie sono funzionali al proprio benessere. Tuttavia, possono diventare un problema quando vengono usate in modo rigido e pervasivo. Infatti, può succedere che finiscano per impedirci di fare cose che per noi sono veramente importanti (evito di fare qualcosa che mi piace per paura di stare male), oppure che creino delle conseguenze negative. Per esempio, fumare sigarette è una strategia molto diffusa e comune per distrarsi e cercare di allontanare stress e ansie; ma ha dei costi fortemente negativi a lungo termine, rispetto alla salute e al benessere. In realtà, spesso le strategie di controllo/evitamento sono poco efficaci, soprattutto rispetto ad emozioni e vissuti intensi, e anzi comportano diverse conseguenze negative: occupano molte risorse della persona, fanno sentire impotenti e possono portare a peggiorare la propria qualità di vita, favorendo l’insorgere di diversi disturbi (ansia cronica, aspetti depressivi, problemi di dipendenze, disturbi alimentari…).
In questo consiste, in estrema sintesi, la trappola della felicità. Pur con approcci teorici molto diversi, molti modelli psicoterapeutici hanno alla base un concetto simile. Infatti, l’idea di benessere e di equilibrio psicologico promossa non è basata sulla felicità “totale” e sull’assenza di vissuti interni negativi. Piuttosto, si cerca di favorire, dove questo è possibile, la consapevolezza delle proprie dinamiche interne, anche rispetto ai punti critici e agli aspetti di vulnerabilità, e la loro accettazione. Solo in questo modo è possibile imparare, con modalità diverse a seconda degli approcci psicoterapeutici, ad affrontare queste parti di sé e a conviverci.