Usare nomignoli in intimità, si o no?

Vera Longhena

I nomignoli e i vezzeggiativi sono da sempre molto utilizzati, soprattutto tra partner in una relazione amorosa, ma anche tra amici del cuore o tra membri della stessa “banda”. Utilizzare dei nomi speciali per qualcuno fa sentire che il grado di confidenza instaurato è molto elevato, dà prova che ci si trovi in un rapporto di consolidata intimità. Quindi, in verità, viene naturale utilizzarli e fa sentire amati, allora come mai se poi emergono in pubblico, ci si sente sbugiardati e ci si vergogna? Quale meccanismo sta alla base del “potere benefico” dei nomignoli?

Cliccando sul link, potete ascoltare il mio intervento su Radio Deejay (dal minuto 1’01″00 circa), inerente al tema, appunto, dell’utilizzo dei nomignoli in coppia, ma non solo.

Il piacere scaturito dal sentirsi chiamare con vezzeggiativi e abbreviazioni tenere, risalirebbe a un ricordo infantile. Falk, infatti, ritiene che la ragione per cui le persone nelle relazioni traggono piacere dall’uso di nomignoli per i loro partner è perché stanno facendo ritorno alla propria esperienza d’infanzia. Nonché al loro primo amore: la madre.

Facciamo un passo indietro per meglio comprendere cosa si intenda per nomignoli infantili. Da neonati e da piccoli, molto spesso, gli adulti e le figure di riferimento, si rivolgono a noi attraverso un linguaggio specifico e caratteristico, denominato “baby talking”: questo comprende l’alterazione del tono della voce, l’utilizzo di nomignoli e storpiature che rendano le parole più tenere (pappina, nannina, mammina..) allo scopo di enfatizzare l’affettività insita nella comunicazione e di trasmettere all’interlocutore (che ancora non parla e non può comprendere il linguaggio verbale) dolcezza e amorevolezza.

Questa forma di tenerezza attiva nei piccoli la dopamina, il neurotrasmettitore responsabile della sensazione di benessere e alimenta e rinforza la sensazione di essere amati e protetti. In età adulta, quando si è innamorati e corrisposti, questa medesima sensazione si ripresenta.

Come sostiene la Gleason, psicolinguista dell’Università di Boston, le basi emozionali provate nei confronti del proprio partner sono in pratica le stesse sentite nell’infanzia verso i propri caregiver, e quindi il linguaggio affettuoso, che spontaneamente viene usato, deriva dai ricordi infantili. Crescendo, esso continua a evocare vissuti di intimità e affetto, rispecchiando una buona intesa affettiva di coppia.

Ma attenzione: DEVE RIMANERE RIGOROSAMENTE PRIVATO! Quando i nomignoli vengono rivelati all’esterno, questo gesto non può che essere vissuto come una violazione grave della propria intimità. D’altronde ogni adulto conserva, o dovrebbe conservare, una parte infantile, ma poche persone sono in grado di ammetterla senza sentirsi “scoperti”.

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