Videogiochi: dipendenza o occasione di crescita?

Valentina Galletti

Recentemente, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha incluso il Gaming disorder, la dipendenza da gioco (on-line e off-line) nell’ ICD-11, l’ultimo aggiornamento della classificazione internazionale delle malattie e dei problemi correlati. https://www.who.int/features/qa/gaming-disorder/en/

Anche il DSM-V (Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali, redatto dall’American Psychiatric Association), parla di abuso di videogiochi, nella sezione riferita alle condizioni cliniche meritevoli di ulteriori approfondimenti.

L’obiettivo di iniziare a studiare e categorizzare tali fenomeni è quella di fare chiarezza al fine di riconoscere e trattare correttamente queste situazioni. Ciò significa anche poter distinguere più chiaramente ciò che costituisce un utilizzo normale del videogioco, da un utilizzo intenso, da una vera e propria dipendenza.

Dal momento che i videogiochi sono utilizzati soprattutto dai più giovani, e spesso sono sconosciuti, quando non apertamente disapprovati, dalla maggior parte degli adulti è bene chiarire che solo una piccolissima parte di video giocatori è a rischio di sviluppare una dipendenza.

Ciò che caratterizza la condizione patologica, è l’alterazione della percezione di intensità, frequenza, durata che diventano pervasive e difficilmente controllabili. Il gioco acquisisce una priorità sempre maggiore su tutte le altre attività quotidiane, fino ad arrivare ad intaccare funzioni primarie come i ritmi sonno-veglia e l’alimentazione, e ad inficiare le relazioni sociali e l’attività professionale. Nonostante la comparsa di conseguenze negative, il giocatore non riesce a smettere la sua attività.

In quanto dipendenza assomiglia nella sua manifestazione e nelle conseguenze a tutte le altre forme di dipendenza (da alcol, sostanze, farmaci, sesso, ecc). Studi di neuroimaging confermano l’attivazione del sistema dopaminergico, che governa i meccanismi di ricompensa e gratificazione. Ne deriva una sensazione di controllo e di realizzazione immediata. Non è da perdere di vista la grande sofferenza che la persona sta cercando di governare, attraverso questi comportamenti.

Senza arrivare a condizioni patologiche, ma guardano alla dimensione di utilizzo normale del videogioco per un ragazzo, alle prese con i compiti evolutivi tipici dell’adolescente, si può comprendere come immergersi in una situazione di finzione in cui si è chiamati a svolge una parte attiva, possa essere una buona occasione per sperimentarsi in forma protetta. Ad esempio per governare emozioni particolarmente intense o dolorose; per misurarsi con una rappresentazione fisica tramite un avatar, per acquisire fiducia in se stessi, ottenere approvazione, come allenamento per poter affrontare il mondo esterno.

Non vi è pertanto una specificità di rischio nel giocare ai videogiochi, ed è scorretto immaginarli come “diavoli tentatori”. Sono dei medium con cui i ragazzi si esprimono, si confrontano, si divertono al pari dei social network e di altri strumenti, che fanno ormai parte del quotidiano. Quando nel ragazzo è presente o si sta sviluppando una sofferenza è anche attraverso l’abuso di questi strumenti che può manifestarsi. Affidarsi ad un professionista per fare un’attenta valutazione della specifica situazione è il modo migliore per fugare ogni dubbio.

 

Bibliografia:

Matteo Lancini (a cura di) “Il ritiro sociale negli adolescenti. La solitudine di una generazione iperconnessa” Raffaello Cortina Editore, 2019

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