La vergogna: un’emozione scomoda

Valentina Galletti

La vergogna è un’emozione paradossale, definita anche come “la cenerentola delle emozioni spiacevoli”[1], in quanto appartiene alla sfera della massima intimità e contemporaneamente anche a quella delle relazioni sociali. Ad un primo sguardo può sembrare un’emozione primordiale e istintiva, tuttavia non potrebbe esistere senza la presenza dello sguardo dell’altro. Presuppone l’esistenza di un senso di sé e di una capacità di decentramento e di rappresentarsi nella propria mente ciò che è nella mente dell’altro sotto forma di giudizio e di porlo a confronto con l’immagine di sé, pertanto è da considerarsi come un’emozione evoluta e autocosciente.

La vergogna, è anche un’emozione estremamente intensa, repentina, acuta e penosa che ci coinvolge sul piano corporeo oltre che mentale e psichico. Tuttavia va ricordato che, come per le altre emozioni, a scatenarle non è l’evento in sé, ma sono i significati, i valori e le interpretazioni che ognuno di noi attribuisce a quello specifico contesto. Ad esempio ci vergogniamo quando veniamo percepiti dalla gente in modo profondamente diverso da come vorremmo.

La vergogna differisce dal senso di colpa, quest’ultimo infatti nasce dalla consapevolezza di aver violato delle norme morali, ed eventualmente, di aver causato un danno; pertanto ci avverte di dover cambiare il comportamento, può suscitare ansia, ma ha la funzione di aiutarci a sviluppare un atteggiamento costruttivo riparatorio. Mentre per la vergogna l’autocritica è pervasiva in quanto rivolta a sé stessi come persone, non ad una specifica azione, da qui l’intensità dolorosa e la tendenza a “bloccare” l’azione.

Molto comunemente la vergogna, crea in chi la prova una “situazione di tilt”, un improvviso senso di impotenza, un forte desiderio di scomparire. Di conseguenza si crea una grossa ferita alla fiducia in sé e alla propria autostima, talvolta un vero e proprio senso di umiliazione, di “nudità psichica”.

Qual è allora la sua funzione e dove la sua utilità?

La vergogna è un’esperienza del quotidiano e comune a tutti, tuttavia alcuni periodi della vita ne sono caratterizzati in modo significativo: l’infanzia e l’adolescenza. In adolescenza, ad esempio, si è messi a confronto con un massiccio cambiamento corporeo e si è tesi a sviluppare e definire la propria identità. Entrambi questi processi spesso espongono alla vergogna. Tuttavia è proprio in questi casi che provare un’emozione così intensa è un chiaro e utile indicatore per comprendere e discriminare in quali “panni” ci si sente bene.

L’emozione della vergogna ha quindi un’importante funzione positiva di promuovere e proteggere l’identità personale. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la vergogna serve a tutelare il proprio senso di sé. Abbiamo visto che è provocata da esperienze che costringono a mettere in discussione l’immagine di sé, poiché porta a vedersi con gli occhi degli altri e a riconoscere le differenze tra le due visioni. Le esperienze vergognose, ci richiamano ad un improvviso bisogno di privacy e di “ritiro in sé” finalizzato ad un riassetto interno per raccogliere le proprie forze e a ritrovare in sé le energie psichiche per affrontare un momento delicato e transitorio che ci ha costretto a metterci profondamente in discussione. Quando accettate ed elaborate, accrescono la conoscenza di sé e quindi anche la possibilità di cambiamento positivo. Se invece vengono negate, favoriscono lo sviluppo di una corazza difensiva che ci allontana dalla propria realizzazione e ne limita lo sviluppo empatico.

La vergogna può diventare un problema?

Essendo difficile da fronteggiare e da “sfruttare” al meglio, la vergogna è un’emozione potenzialmente “tossica” che può diventare una vera e propria “prigione psicologica”. Ad esempio, la vergogna non riconosciuta può trasformarsi in tristezza, può prendere piede una persistente idea negativa di sé, un senso di inadeguatezza che può anche sfociare in una depressione.

Come affrontarla dunque?

Affrontare la vergogna significa innanzitutto accettare di mettersi profondamente in gioco andando a ridefinire, contaminare, immaginare il nostro modo di essere sé stessi agli occhi degli altri. Detto in altre parole significa accettare di vivere diversamente il rapporto con quel che più profondamente siamo. Come? Attraverso la condivisione con gli altri, sviluppando uno sguardo ironico e non giudicante su di sé e contemplando la scoperta e l’integrazione di parti nuove di sé. Naturalmente un buon percorso terapeutico non può eludere il tema del sentirsi diversi perché diversità è specificità e ricchezza, ma va prima vista e riconosciuta come tale.

Quanto alle difficoltà di avere a che fare con le proprie emozioni, vi saluto con un pensiero del filosofo Emanuel Levinas[2] che sull’emozione di cui abbiamo parlato oggi si esprime così: “Se la vergogna c’è è perché non si può nascondere quello che si vorrebbe nascondere: la necessità di fuggire da sé stessi; ciò che appare nella vergogna è precisamente il fatto di essere incatenati a sé, l’inammissibile presenza dell’io a se stesso“.

 

[1]     Rycroft C., Dizionario critico di psicoanalisi, Astrolabio, Roma, 1970.

[2]    Emmanuel Lévinas (1935), Dell’Evasione, Cronopio, 2008.

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